Nel passato la Vallata era molto diversa: un grande lago si estendeva in tutto il fondovalle, molto più ampio dell’occupazione dei due specchi d’acqua attuali. Un paesaggio differente, dove le paludi erano risorsa e luogo di insediamento
Nel nostro tempo siamo abituati a viaggiare tranquillamente nella Vallata, comode e larghe strade fiancheggiano e attraversano i laghi, non troviamo difficoltà a raggiungere ogni centro, ma in passato non fu così. Circa 10.000 anni fa alla fine della glaciazione, durante il mesolitico, le valli prealpine erano in piena colonizzazione da parte di flora e fauna, che riabitavano quelle terre abbandonate dai ghiacci. Mentre con il passare dei secoli iniziava a formarsi lo strato di humus su piani e versanti, i fondovalle accoglievano ampi laghi e paludi, ultimo lascito dei ghiacciai. Le terre nere che ospitavano questi specchi d’acqua, arricchite da millenni di accumuli di minerali e argille, permettevano lo svilupparsi di moltissime specie; tra loro, anche l’uomo, che in questi luoghi trovò un ambiente ideale per insediarsi. Durante la preistoria, per circa due millenni, lungo le sponde del lago si svilupparono degli insediamenti su palafitte: in questa valle la presenza dell’uomo è di lunga attestazione, al Neolitico (V millennio a.C.) infatti risalgono i resti più antichi, che si protraggono nel tempo attraverso l’età del Rame e fino a quella del Bronzo (II millennio a.C.).
I rinvenimenti di capanne a palafitta, effettuate nel corso degli ultimi decenni e che sono serviti da esempio per la costituzione del Parco Archeologico del Livelet, ne sono l’esempio più notevole. Le ricostruzioni del parco ben descrivono queste “case in legno” dell’antichità che erano abitazione, riparo e laboratorio per gli uomini della preistoria. Se ne traccia la presenza in molti siti umidi dell’area alpina: dal Trentino al Veneto, dalla Svizzera alla Germania, la loro presenza lungo le sponde dei laghi alpini e prealpini indica una predilezione dell’uomo preistorico per i siti umidi, dove trovava risorse naturali in abbondanza. Tutti i materiali necessari erano reperiti sul luogo e le palafitte si possono definire il primo esempio di edifici a km 0. Sui versanti collinari e montani crescevano abbondantemente gli alberi, sfruttati per i pali e le assi che componevano la struttura delle palafitte.
Le liane e gli arbusti, opportunamente intrecciati, servivano a fissare gli elementi delle pareti e del tetto. Lungo i laghi proliferavano le canne che erano impiegate per fare i tetti, mentre con l’argilla che si trovava sulle rive si riempivano e sigillavano gli interstizi delle pareti, per isolare l’ambiente interno dal caldo e dal freddo. I focolari per scaldarsi e cucinare erano composti dai ciottoli e dall’argilla, che con la sua plasmabilità impediva che le palafitte si incendiassero. Le capanne avevano un tetto fortemente a spiovente per far defluire velocemente l’acqua, sicuramente qualche finestra e una stuoia a fare da porta. Forse attorno avevano un piccolo pontile per tenere la legna asciutta o altre cose non necessarie quotidianamente. L’interno era molto semplice, con un piano terra dove si cucinava, mangiava e lavorava, mentre su un ballatoio rialzato, nel sottotetto e raggiungibile grazie ad una scala, la zona dove si poteva dormire al caldo d’inverno, visto che il calore saliva verso l’alto. Dobbiamo immaginare che, per questi primi abitanti, il lago e le sue paludi fossero zone di caccia e pesca. I terreni nelle immediate vicinanze erano stati sicuramente dissodati e trasformati in campi a coltura, a partire dal Neolitico infatti l’uomo iniziò l’attività agricola e l’allevamento dei piccoli caprovini. La microeconomia del tempo portava a sfruttare ogni parte degli animali: latte e carne come fonte di alimentazione, le pellicce per coprirsi, il cuoio e la lana per le vesti, i tendini per legare e anche le ossa, lavorate ed usate come strumenti artigianali. Se fosse stato necessario uno strumento più resistente, sarebbero state scheggiate certe tipologie di pietre, ricavando selci appropriate per i diversi usi: raschiare le carni dalle pellicce, punzonatori per bucare le pelli, coltelli e punte di freccia per la caccia, falcetti per tagliare i raccolti.
Le asce e i martelli erano ricavati da pietre resistenti opportunamente lavorate, che spesso purtroppo si spezzavano rendendo necessaria una lunga lavorazione per produrne di nuove. Le immanicature degli strumenti e delle armi erano quasi sempre di legno, al quale venivano legate le punte con tendini fissati con la pece, un liquido estremamente appiccicoso che si creava bruciando foglie e resina. Con l’età del Rame arrivano i primi strumenti in metallo, ma si tratta di rare presenze, per pochi eletti. La lavorazione dei metalli si intensifica solo con l’età del Bronzo, che coincide anche con la nascita delle armi da offesa, che affiancano quelle da caccia. Se potessimo visitare una di queste palafitte, noteremo stuoie per terra, fatte di lana o erba secca, vasi sollevati con cereali che pendevano dal soffitto per non essere mangiati dai topi, strumenti per caccia e pesca lasciati in un angolo vicino alla porta, ma anche pellicce per difendersi dalle notti invernali. In un angolo troveremmo il focolare, certamente vicino ad una finestra o alla porta per evitare incendi e per far uscire il fumo. L’acqua pulita del giorno in vasi di ceramica, o sacche di pelle, la carne affumicata appesa al soffitto per farla durare tutto l’anno. Immaginiamo questi uomini preistorici pescare su piccole imbarcazioni e lavorare sull’uscio della palafitta la pietra, per ricavarne strumenti. Uomini intenti a stendere le pelli da lavorare e tagliare, donne a filare la lana su primordiali telai, per creare vesti e tappeti.
I bambini erano probabilmente anche loro impiegati nei lavori, magari quelli più semplici e meno pericolosi, come governare gli animali o raccogliere frutta e verdure spontanee. Gli animali erano di stazza più piccola degli attuali, anche quelli selvatici come cinghiali, caprioli e cervi probabilmente si spingevano fino sul fondovalle per brucare l’erba o bere al lago, e qui diventavano prede degli uomini, che li cacciavano con archi e lance. Con il Neolitico l’uomo inventa la ceramica, probabilmente osservano come certi terreni argillosi si indurivano a contatto con il fuoco: a partire dal V millennio a.C. anche l’area alpina impara a conoscere quest’arte funzionale, che permetteva di conservare liquidi e solidi, cucinare e rendere il cibo più durevole e digeribile. Un mondo che troviamo se visitiamo il Parco Archeologico del Livelet di Revine, dove sono state ricostruite tre capanne e degli archeologi guidano alla scoperta della loro storia, per meglio comprendere la preistoria del nostro territorio. L’Università di Ferrara ha in corso delle indagini vicino a Colmaggiore, dove gli archeologi hanno rinvenuto interessanti conferme della presenza umana in età preistorica lungo le sponde dei laghi.
Michele Zanchetta