Tra le fobie che avete o che vorreste, aggiungeteci la cenosillicafobia, ossia la paura del bicchierozzo di birra vuoto. Nei paesi anglosassoni è una fobia stradiffusa. Ma niente paura! E‘ facilmente curabile. Indovinate come?
Come siete messi a fobie? Se ne avete almeno dieci siete persone normali. Se ne contate di più anche. Non lo dice un recente studio dell’associazione Fobialogica internazionale. Lo dico io, per cui fidatevi. Mentre scrivevo La cercatrice di parole, Feltrinelli Up (ok ok, un po’ di autopromozione ci sta), mi sono imbattuta nella parola hipopotomonstrosesquipedaliofobia, che indica la paura delle parole lunghe (se esiste una fobia del genere, state certi che ce n’è una miliardata) e leggendo Funeral party, Piemme, di Guido Sgardoli ho scoperto che la caratteristica di uno dei personaggi è avere un cumulo schiacciante di fobie che vanno dalla hierofobia (paura dei preti) alla chiraptofobia (paura di essere toccati). Fino a poco tempo fa non sapevo però che esistesse la cenosillicaphobia, che è la paura del boccale (di birra) vuoto e che è un termine diffusissimo nei paesi anglosassoni.
La “cura” in questo caso è semplice e spumeggiante: consiste nel farsi riempire il bicchiere. O il boccale, appunto. Magari con la scusa di essere “un po’ giù”. Che storicamente sembra sia stato un pretesto parecchio utilizzato.
Nei secoli scorsi infatti la birra era considerata un valido energizzante. Non solo per gli umani, ma anche per i cavalli: i carrettieri ne davano un po’ (della loro) ai cavalli prima di fargli affrontare la parte più difficile del percorso, e pare che ancora adesso sia buona norma inserire nel pasto dei cavalli da corsa un po’ di lievito di birra.
L’importanza di questo alimento (definire la birra una “bibita” mi pare riduttivo) è attestata fin dall’età antica. La prima “pubblicità” della birra risale a 4.000 anni fa. sulle tavolette di Ebla, scoperte nel 1974 dall’archeologo Paolo Matthiae, si illustravano le proprietà di una birra che portava lo stesso nome della città.
Ebla si trova in Mesopotamia, che è considerata la patria della birra: 7.000 anni fa, dalla fermentazione dei cereali, i sumeri preparavano una bevanda simile alla birra, le cui tracce sono state rinvenute su antiche brocche in ceramica. Il paradosso è che in quegli stessi territori, corrispondenti all’attuale Iran, il consumo di birra oggi è vietato e punito con le frustate o il carcere.
Su altri paralleli la birra è invece osannata: basti pensare alla città di Qingdao in Cina, dove si tiene il Festival internazionale della birra o alla Baviera con la sua Oktoberfest.
Ah! In Germania esistono persino i birradotti. Celebre quello di Gelsenkirchen, dove i bar nei dintorni dello stadio sono collegati a una grande cisterna da 5 chilometri di tubi attraverso i quali passa la birra.
Altre curiosità sulla birra? Alcune sono divertenti: un certo John Evans – finito nel Guinness dei primati – è riuscito a tenere in equilibrio sulla testa 237 pinte di birra (di sicuro non era tanto sbronzo da barcollare); altre sono drammatiche. Al 16 ottobre 1814 risale il London Beer Flood: nella fabbrica Meux, si ruppe una cisterna che conteneva un milione e 470 mila litri di birra. La conseguenza fu un vero e proprio tsunami di birra: il liquido distrusse il sobborgo di St. Giles provocando la morte di nove persone. Dopo il fattaccio la fabbrica non venne affatto chiusa, anzi continuò la sua produzione per un altro secolo. Andò cioè “a tutta birra”, che è un’espressione largamente usata da noi, anche se nasce dalla traduzione sbagliata del francese “a toute bride”, che letteralmente significa “a tutta briglia”, quindi molto velocemente.
Come altri alimenti, la birra ha avuto la sorte di valicare i confini della cucina o del bancone per finire per esempio nei laboratori cosmetici, dove si producono creme e lozioni a base di luppolo. Le proprietà detergenti, antibatteriche, ecc. della birra piacciono anche a influencer e divi hollywoodiani come Catherine Zeta-Jones, che a quanto pare si sciacqua i capelli con birra e olio di jojoba. L’avessi saputo prima! Una decina di anni fa (forse di più, di sicuro di più), ero alla sagra di Carpesica. Qualche ora prima ero stata dalla mia parrucchiera di fiducia a farmi fare una piega che avrebbe dovuto resistere per una minivacanza. La compagnia con cui stavo aveva ordinato della birra e l’amico Maurizio che la stava portando su un grande vassoio s’era fatto carico di servire tutti. Purtroppo è inciampato. E le tot pinte si sono svuotate tutte sulla mia testa. Ma allora non la sapevo questa cosa di Catherine Zeta-Jones. L’avessi saputo, mi sarei come minimo instagrammata. Con Maurizio, ovvio.
Emanuela Da Ros