Le amicizie e le passioni di Ornella e Gianni Signorotto nel loro angolo di paradiso, tra l’acqua azzurra-acqua chiara del Soligo e del Lierza
SERNAGLIA DELLA BATTAGLIA – Da dove partiamo? Sì, lo so che avrei dovuto pensare a un incipit dignitoso prima di scrivere questo articolo, ma per quanto mi sia sforzata – poco, direte voi (e fate bene) – non l’ho trovato. Questo è il motivo per cui vi apprestate a leggere un pezzo che non ha capo, ma ha la coda di una nutria.
Ero stata a trovare Ornella e Gianni Signorotto che vivono a Falzè di Piave per una ragione mediaticamente appetibile: la passione di lui per le auto d’epoca. Ho finito per appuntare tutt’altro, anche se sì poi le auto – una Citroen Ds del ‘72 e una Simca Ariane del ‘58 – le ho viste, fotografate e toccate (come si fa a resistere a un cruscotto di radica?). La prima cosa che mi ha attratto (ok, la seconda) è stato un jukebox. Ornella Colledel, 73 anni portati con gioia e disinvoltura, aprendo la porta dell’abitazione mi ha fatto notare i bossoli. Bossoli della prima o della seconda guerra mondiale che sono una delle sue collezioni e che più che esposti sono reinventati. Poiché sono abbastanza âgée, ricordo che da piccola – sul giradischi di casa – mi divertivo a piazzare una canzone dei Giganti che mi piaceva un nobel: Mettete dei fiori nei vostri cannoni. Per non deturpare la bellezza della casa di Ornella – e non far fuggire a zampe levate Cindy e Ceno (i candidi gatti domestici) – in quel momento non l’ho canticchiata, ma ho pensato che Ornella aveva concretizzato il refrain di quel brano trasformando i bossoli in vasi per i fiori.
E poi mi ha fatto notare il jukebox. Anni Settanta. Bellissimo. Funzionante. Con la scelta di brani che sono stati (anche letteralmente) gettonatissimi: Guarda come dondolo, L’ora dell’amore, I like Chopin, Acqua azzurra acqua chiara e Manuela di Julio Iglesias. E‘ stato un po’ come tornare indietro di qualche secolo rispetto ad Apple music o Spotify, perché allora la musica era sostenuta dalla fisica, dalla meccanica, insomma da un pinzetta che pescava nella libreria dei vinili a solchi qualcosa che poi alchimisticamente diventava immateriale come il suono. Così quando si è presentato in scena il consorte Gianni Signorotto mi sentivo un po’ Battisti e gli ho chiesto se i giardini a marzo si vestono di nuovi colori. “Sì, – ha risposto lui – è la primavera che rende straordinario l’esterno della casa, perché al posto del tappeto di foglie ruggini i prati vibrano di colori tenui”. A me comunque i giardini di gennaio di casa Signorotto sono sembrati straordinari anche col colore di una giornata uggiosa: la loro abitazione si affaccia sull’argine del Soligo fino alla confluenza del fiume col Lierza, e l’acqua che vi scorre abbondante e fresca tutto l’anno ha il richiamo della vita anche durante il letargo invernale. Gianni, 77 anni, ha iniziato giovanissimo a fare il carrozziere, ma dopo la pensione si è dedicato anima e maglioncino a losanghe al verde che circonda la casa: ha un pollaio animato dal coccodè di polli ruspanti e dal chicchirichì di Prosecco (il gallo, per una volta), un laghetto con trote e carpe, un piccolo orto protetto da una recinzione (qui – dice – arrivano cinghiali, volpi, e anche il gatto selvatico che ha rapito la mia fagiana domestica). Ha anche un cimitero. Per i cani che non ci sono più.
“Per anni – spiega Ornella, chinandosi a pulire una delle piccole “tombe” poste sotto i larici – abbiamo coabitato con dei cani: ci hanno accompagnato per un lungo percorso della nostra vita, condividendo emozioni, gioie, difficoltà. Erano proprio di famiglia e quando inevitabilmente ci hanno lasciato, abbiamo pensato di riservargli un piccolo spazio anche tra i giardini”. E così Leroy e Cooch, i golden retriver, e Max, il border collie, ora dormono sull’argine dove una piccola lapide di sassi porta incisi i loro nomi. Ma neppure la mestizia di una sepoltura canina riesce ad avere la meglio sulla serenità di questo angolo di paradiso dove si può quasi assistere al miracolo delle noci di manzoniana memoria. “Lo vedi questo noce lussureggiante? – mi fa notare Ornella – Pensa che ogni anno ci regala un sacco di frutti, eppure è nato da una noce comprata al supermercato che avevo gettato con noncuranza sul terreno”. E‘ quasi l’imbrunire quando saluto i coniugi Signorotto (anzi i nonni, visto che hanno due figli e cinque nipoti), ma loro mi invitano a fermarmi. Per non perdermi lo spettacolo. Quando il sole sta per calare, dal piccolo canale che sta sul retro della casa e che fin dal Seicento con la sua acqua alimentava la segheria e il mulino poco distanti, si presentano puntuali Renee e Robert: due nutrie che sono state adottate da Ornella e Gianni. “Sono un orologio – dice Ornella – d’inverno alle 4 del pomeriggio e d’estate alle nove, le nutrie arrivano nei pressi del ponticello che sovrasta il canale, riconoscono la nostra voce, si avvicinano, si sollevano sulle zampe posteiori e col loro musetto baffuto prendono il cibo dalle mani. Quando sono sazie si rituffano panciute in acqua e via, tornano nelle loro tane, scavate chissà dove.”
Ma non provocano danni agli argini? “Qui non abbiamo mai avuto problemi – spiega Gianni -. Anzi la presenza di questi animali è piacevole, buffa. E fa piacere vedere come si sono affezionati a noi.” Le auto d’epoca, a questo punto, meritano solo uno sguardo carezzevole, ma non così distratto da non notare sulla carrozzeria della vecchia Citroen il ruggito iconico (e un po’ rauco, come se ‘l fosse stuf) del leone di San Marco. “Sì – ammette Gianni – ho creduto e credo nel sogno dell’indipendenza veneta. Che però è una chimera. Perché nonostante il referendum abbia avuto un’adesione plebiscitaria, nel concreto i veneti i tira ‘ndrio ‘l cul quando che se tratta de far va’er un diritto storico”.
Emanuela Da Ros